Sulle panchine in Piazza Bodoni. Tanto per cambiare, sto a perdere un po’ di tempo, aspettando che sia l’ora giusta (e cioè che sia troppo tardi).
Nel frattempo, mi piace da morire guardare gli altri, le persone in giro, le facce, quello che fanno, immaginare quello che dicono.
Dei bambini tra gli otto e i dieci anni si mettono a giocare a "uno, due, tre, stella" usando il piedistallo del monumento equestre come "base". Stanno immobili in posizioni assurde. Il bambino che dirige il gioco è incredibilmente severo e continua a far tornare daccapo tutti gli altri al minimo movimento. Gli altri protestano debolmente. Si vede che lui è il capo.
Sul lato opposto del piedistallo stanno un ragazzo e una ragazza; si stanno lasciando. Lui è inginocchiato davanti a lei, le sue mani appoggiate sulle ginocchia della ragazza. Le parla. Lei ha una espressione tristissima, guarda altrove.
Signori eleganti con signore eleganti, elegantemente camminano verso il conservatorio. Concerto jazz.
Sul terzo lato del monumento tre ragazzotti con skateboard posato ai piedi sono impegnati a rollarsi delle canne e parlare e ridere di qualcosa che è capitato a qualcuno. Ridono facendo "he he he he he".
I bambini decidono di cambiare, ora giocano a nascondino. Corrono di qua e di là, svaniscono dietro le piante, dietro le panchine, fra le macchine parcheggiate. Uno non fa in tempo a nascondersi e viene trovato subito. Si arrabbia. "Non gioco più".
Anche la coppia ha deciso che "non gioca più". Lui si è seduto, si tiene la testa tra le mani, i gomiti sulle ginocchia. Lei, la schiena appoggiata alla pietra, guarda ancora altrove.
Altra gente elgante. E poi altre coppie, alcuni anziani, altri giovani. Un barbone. Due tizi vogliono vendermi dei disegni che portano in una cartelletta. Un tale legge il giornale camminando, nonostante sia ormai buio.
Eccetera.