La casa dell'accrocchio Pensieri a manovella

12/05/2007

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Filed under: Uncategorized — Tags: — Oscaruzzo @ 22:33

Un giorno come un altro. Uno dietro l’altro i secondi e poi i minuti, con le ore ed i giorni, non facevano mai niente per farsi distinuguere uno dall’altro. In quel giorno come tutti, faceva tardi in ufficio per cercare di sbrigare una quantità di lavoro vecchio di mesi, pensando che fra qualche mese si sarebbe dovuto occupare di quello lasciato da parte ora. Sempre così, pensava. La sola differenza sarebbe stata nella temperatura che si faceva man mano più torrida all’avvicinarsi dell’estate.

Due giorni prima, arrivando in ufficio, assalito dalla calura esalata dai PC accesi durante tutta la notte, aveva acceso il condizionatore per la prima volta dall’inizio della primavera. Il marchingegno lo aveva salutato con una serie di vibrazioni e di rumori del tipo gniiiii gniiiiii gneeeaaaargh squash squash squash e aveva inondato l’intero locale con un fetore di cadavere. Probabilmente un topolino aveva eletto il condizionatore a sua estrema dimora, proprio in mezzo alle pale della ventola. La sua fervida e spesso inopportuna fantasia di aveva regalato suo malgrado una visione della scena.

Sorrise a quel pensiero; non che fosse un individuo freddo o sarcastico, ma era in qualche modo incapace di vedere il lato tragico o deprimente nelle piccole cose e spesso anche in quelle niente affatto piccole. Il suo sorriso “filosofico” gli spuntava in faccia nei momenti più inopportuni: alla notizia di un licenziamento di un collega; di fronte alla tristezza di un amico lasciato dalla sua donna; davanti ai reportage sanguinolenti dei telegiornali; così tutti, tranne gli amici più intimi, che lo conoscevano, davano per scontato che quell’uomo che sorrideva su tutto, non riuscendo mai ad essere veramente dispiaciuto, fosse a seconda dei casi, un po’ scemo o un po’ stronzo.

Le sue mani correvano sulla tastiera. Le braccia appoggiate sulla scrivania sudavano e si appiccicavano ai fogli. La sua fronte sudava, e i capelli vi si appiccicavano. La sua più volte maledetta poltrona in pelle gli si appicicava alle gambe sudate. Tutto era sudato e appiccicoso. Ogni tanto si muoveva distrattamente, cercando di scollarsi dalle cose che lo circondavano. I suoi pensieri erano equamente suddivisi fra il lavoro e gli improperi e quando, di tanto in tanto, si rendeva conto di quanto schifosa fosse la sua situazione, egli sorrideva.

Così passò anche quel pomeriggio e il sole era già basso quando decise che poteva infine rimandare all’indomani il lavoro residuo…

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