La casa dell'accrocchio Pensieri a manovella

01/07/2008

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Filed under: gente,pensieri,pride,sproloqui — Oscaruzzo @ 23:09

Avevo promesso un reportage del mio sabatodomenica in Emilia per il Pride, ed eccolo qua. Per la verità potrei farci almeno quatto o cinque post, ma cercherò di limitarmi…

È stata una gita piuttosto stramba. Anzitutto la compagnia: una coppia di amici, insieme con un’altra coppia (amici loro), accomunati dal fatto di militare all’interno di una associazione di omosessuali credenti (e non solo credenti, ma pure cattolici). Chi mi conosce o mi segue da qualche tempo, saprà che non tendo ad associare il prefisso catto- a concetti simpatici, ma insomma, ogni tanto ci vuole un po’ di tolleranza

Dunque, io e le quattro catto-cule (giuro che è un nomignolo che usano loro stessi, altrimenti io non oserei mai) siam giunti in quel di Bologna giusto in tempo per l’inizio del Pride. Gran caldo, gran sole, gran quantità di bella gente.

Purtroppo ho avuto l’impressione che la cittadinanza abbia partecipato pochissimo: ai lati della parata poca gente, complice un percorso che ha girato intorno al centro su quella che pareva essere una via “fuori le mura” priva di negozi e di traffico pedonale. Un grave peccato, visto che continuo a pensare che lo scopo principale del Pride sia di mettere la gente in contatto con la nostra totale e disarmante normalità e di trasmettere un messaggio che i media continuano a censurare. A questo proposito, tra l’altro, devo dire che questo Pride mi è parso particolarmente sobrio.

Confermo comunque, che come sempre noi gay siamo l’unica categoria al mondo in grado rivendicare i propri diritti e dimostrare il proprio livello di incazzatura organizzando una grande e gioiosa festona (mentre invece sindacati, comunisti, fascisti, centristi, cattolici, atei e quant’altri riescono sempre solo a metter su dei musi lunghi da paura, senza peraltro ottenere molto di più, tié).

E per quanto riguarda il Pride, la cronaca finisce già qui. Ma il bello è venuto dopo. Insieme con altri amici incontrati a Bologna (ma anche loro in “pellegrinaggio” da Torino), ci siamo spostati per la cena (e il pernottamento) verso un piccolo monastero a Salvarano (prontamente ribattezzato “Salva l’Ano” dagli astanti), in provincia di Reggio Emilia. In mezzo ad un paesaggio collinare paradisiaco, in un luogo a dir poco meravigioso, tre suore (assolutamente friendly) mandano avanti un convento costruito in perfetto stile “cascinale” con pochi mezzi, ospitando ogni tanto viaggiatori (a offerta libera). Non ci sono parole per descrivere il posto. E non ci sono parole per descrivere il livello di rilassamento e svaccamento che riesco a raggiungere quando sono in una compagnia totalmente “aperta”, costituita cioè da altri gay o da persone che non abbiano alcun problema con questo lato della mia persona. Un ambiente in cui posso parlare di tutto (anche di cose che con l’omesessualità non c’entrano una mazza), senza dover sempre stare attento a non dire mai “il mio ragazzo” o altre cose “compromettenti”. Semplicemente essere sereno.

Inoltre le coppie gay sono spassose. Un uomo e una donna che si “punzecchiano” sono uno spettacolo divertente, ma c’è sempre un limite oltre il quale non si va mai. Tra due uomini anche, ma è decisamente più in là. Non sono così rari dialoghi come “dovresti dividere la plastica dalla carta, la spazzatura deve essere trattata in modo opportuno” — “e infatti io ti tratto benissimo!”

E poi è arrivato Rusco. “Rusco” nel dialetto di quella zona significa “spazzatura”. E Rusco è un gattino di circa una settimana che abbiamo trovato in fosso. Immobile, col pelo pieno pieno di quelle robe che cascano dagli alberi in questo periodo, sembrava un topo morto. Invece no, era un gatto vivo. Uno dei ragazzi mentre faceva un giro l’ha trovato, recuperato, e portato al convento. Quando l’ho visto, quasi non respirava. Aveva la bocca piena delle stesse robacce che aveva tra il pelo e tremava tutto. Mi sono messo con santa pazienza a togliergliele di bocca (e dalla gola, quasi), una per una, ricompensato solo dal fatto che dopo dieci minuti di questo strazio il povero Rusco ha trovato di nuovo la forza di respirare e di miagolare (e quanto!). Gli ho dato del latte con una piccola siringa senza l’ago. Mi si è addormentato in mano. Le fusa però le facevo io…

Ho rischiato veramente di portarmelo a casa. A freddo, penso che stavo per accollarmi l’impegno di allattarlo ogni tre ore per almeno un mese, e di accudirlo per almeno una quindicina di anni, e mi do del pazzo per averci anche solo pensato. Ma in quel momento, mi pareva l’unica cosa sensata da fare. Le suore non volevano tenerlo. Alla fine l’ha preso il ragazzo che l’ha trovato, che essendo studente, almeno in questo periodo può stargli dietro meglio di quanto avrei potuto fare io.  Ma già mi manca, mannaggia. Mah, meglio così. Ma devo dire che io stesso sono stupito del mio senso materno…

Per finire, allego la mia personale testimonianza fotografica. Perché sabato, a quanto pare, era anche il giorno dell’orgoglio della panza all’aria. Nella seconda foto, un dettaglio della raffinatissima fascetta “misura il tuo orgoglio” che nella prima foto non si vede bene

   

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